Un dicembre di qualche anno fa (o forse di più).
Vivevo ancora nella mia vecchia casa, quella in cui stavamo io ed i miei genitori prima del divorzio.
Avevamo un salone, chiamato “salone giallo” perché i divani erano rivestiti con una stoffa finemente decorata, proprio sui quei toni.
Non usavamo quasi mai il salone giallo. Fatta eccezione per la sera della vigilia di Natale, ma solo al momento di spacchettare i regali.
In fondo alla stanza, una grande vetrata dava sul giardino. Qui ogni anno, allestivamo il nostro enorme albero sulle note del cd natalizio ricevuto in regalo assieme a qualche rivista.
Tutto era magico: le lucine sull’albero, i re magi che ogni giorno avanzavano verso la capanna, nel presepe realizzato a mano da mamma. I regali anonimi, impacchettati con carta raffigurante Babbo Natale, che avevano tutta l’aria di arrivare dal Polo Nord.
Poi, la notte della vigilia, mentre tutti erano di là, seduti attorno al tavolo rotondo, io sgattaiolavo via.
Mi facevo coraggio ed entravo nell’ombra delle stanze che mi dividevano dal salone giallo. Arrivavo lì con le palpitazioni, il fiato corto. Un misto tra felicità e paura, nella speranza di riuscire a intravedere Babbo Natale scendere dal camino, anche solo per un secondo.
Non incontrai mai Babbo Natale, ma la scia di magia che egli lasciava alle sue spalle, quella sì.
La raccoglievo e la portavo con me, mentre recandomi nella sala da pranzo, tornavo al mondo reale.
Multipotenziale piena di passioni e sempre curiosa. Amo il cibo in tutte le sue forme, ma soprattutto amo pensare al cibo come qualcosa di più del semplice nutrimento. Continua a leggere »